Storie di lignite e ferrovie nelle frazioni del Comune di Caviglia: il caso “Vacchereccia”

Oggi la località di Vacchereccia è una frazione piuttosto popolosa del Comune di Cavriglia. Ripercorrendo la storia delle miniere questa parte di territorio appare toccata marginalmente dalle vicende di gallerie ed escavazioni. Sappiamo che alcuni minatori vivevano anche da queste parti e che si recavano a piedi nelle miniere del bacino di Castelnuovo e in quelle limitrofe ma miniere aperte a Vacchereccia non c’erano. La trasformazione del suolo sarebbe avvenuta molto dopo con l’arrivo delle terre dei bacini di scavo di Castelnuovo dei Sabbioni messe poi a discarica. In realtà ci sono due documenti curiosi della prima metà del Novecento che raccontano di come anche questa frazione abbia a che fare con le miniere fin quasi dall’inizio…

La zona di Vacchereccia era prevalentemente agricola, come gran parte dei terreni del Comune di Cavriglia prima che l’economica del territorio fosse “risucchiata” dalle miniere. Gran parte dei terreni agricoli posti attorno e dentro l’attuale frazione di Vacchereccia appartenevano da tempo alla fattoria di San Martino di proprietà dello Spedale degli Innocenti di Firenze. San Martino era un piccolo paese posto fra Castelnuovo dei Sabbioni e Gaville, a due passi dal castello di Pianfranzese. Fu investito dall’attività mineraria fin dal suo primo sviluppo, trovandosi nei pressi di uno dei bacino di scavo (zona Allori). San Martino oggi non esiste più ma le sue vicende e la sua storia arrivano oltre il secondo dopoguerra e fu uno dei luoghi degli eccidi del luglio 1944. 

Nel novembre del 1904 i proprietari della miniera Tegolaia, Fineschi -Ferretti, fra le varie impellenze hanno quella di vendere il combustibile che viene estratto.  Ora per chi non è della zona è necessario approfondire. Tegolaia è una località posta fra Cavriglia e Malpasso, non distante da Vacchereccia. I due proprietari di miniera per poter trasportare la lignite a valle avevano solo una possibilità: attraversare parte dei poderi di Vacchereccia. Solo così la miniera di Tegolaia – fra l’altro anche questa era stata una zona di proprietà dello Spedale degli Innocenti e della fattoria di Cavriglia – avrebbe potuto continuare a lavorare. L’idea di Fineschi e Ferretti è piuttosto semplice: chiedere il permesso allo Spedale degli Innocenti per costruire una ferrovia – in origine doveva essere a trazione animale – che a trazione meccanica trasportasse la lignite da Tegolaia alla stazione di San Giovanni Valdarno. La richiesta dopo un po’ di tempo venne accordata con alcuni obblighi a carico della società esercente: coprire le spese ed eventuali danni che si sarebbero provocati ai poderi della Fattoria di San Martino. Iniziano velocemente i lavori: un passaggio a livello da realizzarsi all’interno del podere Vacchereccia per permettere i collegamenti fra i terreni dello Spedale, la deviazione dell’alveo del Borratino di Papio, quella del botrello nei terreni della Fattoria di Vacchereccia, la manutenzione dei fossetti di scolo e l’obbligo dei tagli delle fronde degli alberi che erano stati piantati lungo il corso della ferrovia. Infine si doveva provvedere al mantenimento della riva del Botro di Vacchereccia.

Così anche la zona di Vacchereccia viene “coinvolta” nelle attività minerarie. La questione sembra risolversi in questi primi anni del 1900, anche perché le miniere poste nella zona di Castelnuovo e degli Allori sono più grandi e capaci di sostenere l’economia estrattiva dell’intera zona … ma la questione della lignite a Vacchereccia ricompare, quasi dal nulla, alla fine degli anni Trenta. Nel dicembre del 1938 la Società Mineraria scrisse al Ministero delle Corporazioni perché aveva necessità di  verificare se nella zona di Vacchereccia potevano esserci combustibili solidi. La zona, un’estensione di circa 330 ettari, si concentrava in un’area che andava dal Ponte di Borbuio- borro di San Cipriano fino alla zona di Ponte alle Forche, borro di Vacchereccia, Podere La Piana, Castellaccio e risalendo fino alla località Casino, insomma più o meno le attuali zone a cavallo delle colline che separano Vacchereccia da Santa Barbara.  Per procedere nei lavori c’erano obblighi ben precisi che la Società avrebbe dovuto seguire: iniziare i lavori entro due mesi dalla data di notifica del decreto, informare ogni due mesi l’ufficiale minerario dell’andamento dei lavori e dei risultati ottenuti, conservare i campioni geologici dei terreni, corrispondere allo Stato un canone di £ 658. Un anno dopo il Ministero avrebbe dato l’ok. Inizia così un periodo che andrà ben oltre due anni arrivando di fatto fino alla metà degli anni Cinquanta.

Nel 1941 viene concessa una prima proroga al decreto e iniziano ad arrivare le prime relazioni geologiche e minerarie: nella zona in oggetto affiorano solo terreni sabbiosi di origine lacustre e riferibili al pliocene superiore. Manca qualsiasi traccia di affioramenti di banchi lignitiferi, poiché questi se esistono debbono trovarsi a grandi profondità. La Società Mineraria del Valdarno, per accertare la presenza del banco eseguì una trivellazione presso la Fattoria di Vacchereccia. Per queste perforazioni, condotte con sonda a rotazione Derihon della Società S.I.N.,  si sono dovute superare grandissime difficoltà per causa della franosità del foro e dell’assorbimento dell’acqua di circolazione, per cui sono occorsi 10 mesi per raggiungere le arenarie compatte eoceniche che costituiscono l’appoggio della formazione lignitifera  e che sono state trovate alla profondità notevole per il bacino del Valdarno di 260 metri mentre la profondità totale del foro ha raggiunto i 267 metri. I terreni attraversati sono stati i seguenti: fino a 7 metri terreni vegetali, fino a 30 metri sabbie gialle, poi fino a 41 metri sabbie azzurre. Da 41 a 162 metri argille renose; da 163 a 177 metri argille torbose e con stratificazioni torbose. A 205 metri argille mentre a 206 metri è apparsa lignite torbosa. Poi fino a 215 metri argilla torbosa e da 215 a 267 metri arenaria sciolta e poi compatta. Il sondaggio quindi deve essere considerato negativo. Per completare l’esplorazione del permesso sono previsti altri due fori, uno presso il borro Cestello, l’altro in località podere Palazzaccio. Si prevede di dover affrontare le gravi difficoltà incontrate per il sondaggio già eseguito a causa della natura dei terreni. Data l’impossibilità per l’approvvigionamento di nafta per condurre il lavoro si studierà l’allacciamento a linee elettriche.

Nonostante tutto ciò i lavori proseguono e la Società ottiene negli anni successivi ulteriori proroghe. Passata la guerra riprendono le trivellazioni e ancora fra il 1946 e il 1948 si cerca lignite a Vacchereccia. Le disposizioni sono molto simili a quelle del primo decreto del 1939. Il 29 novembre del 1949 arriva una nuova richiesta di proroga e la Società Mineraria spiega il perché. Pur ricordano gli esisti negativi dei lavori precedentemente eseguiti nei terreni in oggetto per trovare strati lignitiferi, un sondaggio ripreso dalla Società su un pozzo eseguito dalle truppe alleate ha rilevato manifestazioni di gas metano. Così quest’indizio consigliò ulteriori ricerche per esplorare completamente il sottosuolo. Purtroppo proprio nel tempo in cui è stata concessa la proroga  è cominciata la crisi di carattere economico-sociale che ha avuto sull’attività dell’azienda i gravi effetti che tutti conoscono, ragione per cui la società non ha potuto fare i lavori. Rimanendo le ragioni indicate arriva la richiesta da parte della Società Mineraria di una nuova proroga, almeno fino a marzo 1950 che puntualmente viene concessa. A marzo del 1950 un’altra proroga, questa volta fino al 1952. La zona nella quale fare ricerche è sempre la medesima ma questa volta cambia il canone da corrispondere allo Stato e l’obbligo di rendicontare ogni 4 mesi le attività.

Alla fine la lignite a Vacchereccia non fu trovata! La zona avrà comunque a che fare con le miniere decenni dopo ma questa è un’altra storia….

(P. Bertoncini)

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