Quando s’andava ai dorcini a prendere l’acqua

Ho incontrato Enzo a Meleto, casualmente, perché cercavo informazioni su San Donato in Avane e invece, tra una chiacchierata e l’altra è venuta fuori la storia del Ronco, questa volta però si parla di un periodo nel quale il paese era ancora in piedi.


Quando ti viene a mancare il posto dove sei nato… lo hai sempre in mente. Il Ronco non esiste più da molto tempo però mi ricordo bene quando per caso un giorno, lavorando nel bosco, sono riemerse dalla terra le mattonelle dei pavimenti delle case.

Al Ronco o si lavorava in miniera o nei campi.

Vivevo al Ronco, e ci sono stato fino alla 5° elementare, quando hanno trasferito me e tutta la famiglia alla Dispensa. Al Ronco il mio babbo lavorava in miniera ma aveva anche il podere; partiva la mattina e tornava la sera, praticamente io non lo vedevo mai. Quando andavo a scuola mi spostavo al Neri e prima di tornare a casa passavo a prendere l’acqua ai dorcini. Davanti a casa c’era una specie di diga, così la chiamavano, ma a me pareva più che altro uno sbarramento. Al “Capannone” dove stavo io avevamo anche una capanna perché all’epoca a chi lavorava in miniera venivano date due chiatte di lignite per bruciarle nella stufa di casa, e noi le si stivavano proprio nella capanna. La sera, quando era tempo di granturco, la casa era piena di gente e col manico della zappa fra le gambe si cominciava a spicciolare… un bel gran polverone era il risultato! Con la mia famiglia si abitava in 3 stanze, la cucina e due camere, però avevo il bagno in casa. Attorno a casa, nei campi incolti, capitava di trovare gli stelliccioni e addirittura mi ricordo che il babbo nella terra rossa ci aveva fatto la carciofaia.

Il Ronco era piccolo ma era un bel paese. Venendo dalla strada da Castelnuovo, quella vecchia, si trovava l’abitazione di un contadino, il Butini, poi un’altra zona con piccole case dove c’era la bottega alimentari di Frescucci, che vendeva un po’ di tutto, un’altra casa colonica che produceva e vendeva verdure, le portava ai grossisti e poi il paese. Iniziava così il Ronco, con il barbiere ed altre case. C’era anche il calzonaio, Zeffero. Si incontrava prima il Ronco di Sopra, dove c’erano le case a due piani e vivevano diverse famiglie. Lì c’era il circolo con il biliardo e la fontana, poi si arrivava al Ronco di Sotto. Io vivevo proprio lì. Al Ronco di Sotto potevi trovare tanti fontini e avevano costruito anche una specie di deposito in muratura con le pompe. Un signore era l’addetto a pompare l’acqua e a mandarla al Ronco di Sopra. Al paese c’era la chiesa e quando fu demolita molte cose le portarono a quella del Neri. Vicino al Ronco c’era la zona delle fornaci e alla casa del Polveri si facevano sempre le riunioni del partito, quello comunista.

Mi ricordo bene di quando arrivò la televisione: l’avevano sistemata in una stanza del circolo e si doveva anche pagare qualcosa per vederla. La stanza era stata tutta attrezzata con le sedie del cinematografo di Castelnuovo.

Per andare dal Ronco di Sopra al Ronco di Sotto, arrivando dal Neri, c’era la strada che scendeva. Però per far prima gli abitanti avevano costruito anche una specie di viottolo, fatto con alcuni scalini di legno. 

Nel 1957 si diffuse la voce che il Ronco sarebbe stato distrutto. Però gli uomini si misero lo stesso a costruire la cooperativa: dopo la giornata di lavoro, si ritrovavano e muravano! Quando arrivarono a demolire la zona, caricavano la terra sui dei motorscapers e la portavano al Basi, vicino a quella casa bianca che si vede ancora oggi. E pensare che lì c’ero andato ad imparare a suonare la fisarmonica, da Cecio. Al Ronco all’epoca ci saranno state almeno 215 famiglie. Per lasciare spazio alla miniera a cielo aperto ci hanno mandato a giro un po’ per tutto il territorio del Comune, chi a Massa dei Sabbioni, chi alla Dispensa, chi all’impianto “butner” alla centrale, prima che gli ricostruissero la casa. Io finii alla Dispensa, era il periodo nel quale costruivano le Bette. Però anche da lì pochi anni dopo sono dovuto venir via.

Enzo Mazzuoli.

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