Miniere a cielo aperto per estrarre la lignite. Si cominciò a parlarne in Valdarno dopo il secondo conflitto mondiale. La guerra aveva inferto un duro colpo all’economia del territorio e le miniere, che appartenevano ad una società privata, dovevano riprendere la loro attività quanto prima. Ci si mise al lavoro abbastanza presto, già dal 1946 si cercò di riaprire, recuperando ciò che si poteva dagli impianti danneggiati.
Anni duri quelli che ci portano fino alla metà dei ‘50, durante i quali si assistette nella zona a manifestazioni, scioperi, occupazioni illecite, nascita e chiusura di cooperative di lavoratori…insomma ci si inventò di tutto per salvare il posto di lavoro: i minatori con a fianco le loro donne e i loro figli. La Società aveva altri progetti, riprendere sì la produzione ma presentarsi anche in modo competitivo sul mercato… e fu così che nacque il piano “Santa Barbara”. Esso era piuttosto semplice nell’idea generale: meccanizzare l’intero processo estrattivo della lignite e costruire una nuova centrale. Un po’ più complesso da organizzare. Dopo i vari sopralluoghi fu scelta l’area in prossimità del villaggio minatori di Santa Barbara per costruire una nuova centrale e ci si affidò allo studio di ingegneria di Otto Gold per capire come sviluppare l’idea di un bacino di scavo a cielo aperto. Otto Gold era uno specialista nel settore, abituato ad analizzare e sviluppare studi per le miniere tedesche, dove il sistema era già in uso. Fatte le prime ricerche, analizzate la conformazione del suolo e del banco lignitifero arrivarono le prime stime. Il progetto poteva essere attuato anche in Valdarno.
Arrivarono gli studi, arrivarono le mappe, arrivarono anche i pezzi delle grandi macchine che sarebbero state assemblate nei piazzali delle precedenti miniere. Le macchine erano di vario tipo e fra loro c’erano quelle che i minatori della zona nomineranno amichevolmente “Bette”. Tecnicamente erano “escavatori per sterile della Krupp”.
Le macchine di fatto furono assemblate in pochi anni tanto da entrare in funzione alla fine dei ‘50 ed erano qualcosa di grandioso, che in Valdarno non si era mai visto. Alte quasi come un palazzo di quattro piani esse si muovevano lentamente sul suolo per dirigersi nei luoghi nei quali avrebbe preso origine il sistema di escavazione a cielo aperto.
Per capire esattamente di cosa stiamo parlando utilizziamo i dati presenti nei nostri archivi: una Betta pesava circa 1500 tonnellate. Era alimentata con corrente trifase a 6kv, aveva 3 motori da 405 kw. La catena a tazze, quella che serviva per scavare, era composta da 44 tazze distanti tra loro 2.8 metri e dalla capacità singola di 1.00 mc. In un minuto riusciva a scaricare 24 tazze. Per muoversi usava 3 cingoli alimentati anch’essi a corrente. Il suo braccio di scarico era lungo 26 metri e la sua velocità di spostamento era di 2-6 metri al minuto…
Bene di Bette in Valdarno ce n’erano due e poi altre macchine iniziarono a far loro compagnia: spanditori, altri tipi di escavatori, ruspe, cavallette e chilometri di nastri.
Il 16 gennaio 1958 fu collaudata la prima Betta. Erano presenti l’ingegner Jaert, Wegner e Stener per la Krupp e Percivalli, Zimmermann, Benei e Lucidi per la Santa Barbara. Per capire il volume scavato furono fatti dei rilievi topografici del terreno dove sarebbe andata a lavorare. La prova iniziò alle 11.02 per terminare alle 15.04. In questo breve lasso di tempo, 3 ore e mezzo di effettivo lavoro, la Betta riuscì a rimuovere 2813 mc di terra! Ovviamente la Santa Barbara trovò delle pecche in questa prima “uscita pubblica della macchina” lamentando alcuni inconvenienti tecnici fra i quali il fatto che i motori davano problemi, c’era perdita di olio per la lubrificazione dalle pompe, i freni degli argani non sembravano funzionare granché bene e la portata delle tazze era di sole 8 tonnellate anziché 10 come previsto precedentemente.
Ormai l’epoca dell’escavazione a cielo aperto della lignite dei bacini posti nel Comune di Cavriglia aveva avuto inizio. Pochi decenni dopo la zona si estenderà anche nell’area Allori – San Donato – Gaville. Le miniere chiuderanno ufficialmente nel 1994: la quantità di lignite estratta complessivamente sarebbe ammontata a 43.5 milioni di tonnellate mentre la terra asportata corrispose a 360 milioni di mc. Tutto il territorio che interessò l’area di escavazione e le limitrofe discariche minerarie mutò radicalmente forma.
(P. Bertoncini)