La VAMPA: dove lavorava Oliviero Campassi

Oliverio Campassi è nato nell’ottobre del 1919, forse a Cavriglia, come ama ripetere e ha lavorato fin da ragazzo nelle miniere del Valdarno. La “sua” miniera era quella piccola, la V.A.M.P.A., che stava proprio sotto Meleto. Bisogna pensare che prima dell’escavazione a cielo aperto nel Comune di Cavriglia c’era un buon numero di miniera in galleria, aperte e in attività; più grandi e più piccole, molte appartenenti comunque alla Mineraria.

Oliviero alla V.A.M.P.A. (Società Valdarnese Anonima Miniera Poggio Avane) ci ha lavorato molti anni, fino a quando la modernità lo ha spinto a “lasciare” queste terre per un lavoro che lo ha portato in giro per l’Italia…


Credo di essere nato a Cavriglia e per un po’ ho abitato a Castelnuovo, davanti alle scuole del paese. Fino al 1960 quando mi dettero la casa nuova, quelle Fanfani, alle Muccherie. E poi con la miniera a cielo aperto mi toccò rifare la casa un’altra volta.

Ho cominciato a lavorare in miniera a 16 anni, subito in galleria. Il mio babbo era sorvegliante alla miniera VAMPA. Era una miniera vicino a Meleto, proprio sotto il paese. Io andai al gancio. Lavorare al gancio voleva dire agganciare le chiatte piene di lignite e mandarle fuori, attraverso la discenderia. Io ero proprio dentro la galleria in uno spazio apposito. Quando arrivavano i troille carichi di lignite io li agganciavano e suonavo un campanello che avvisava in superficie il responsabile che lavorava all’argano che tutto era pronto per far salire la lignite. L’argano alla VAMPA funzionava col vapore non con la corrente elettrica come in altre miniere della zona. 

I minatori, la compagnia di scavo composta da 3 persone, venivano a prendere le chiatte vuote, dove stavo io, e le portavano a mano fino alla zona di scavo, perché da noi i cavalli non c’erano. Era soprattutto il caricatore addetto a questo compito; però capitava che a volte lo facessero anche gli altri minatori. Dopo aver riempito la chiatta il caricatore la riportava al mio spazio, una specie di garage. Qui io aspettavo i vari vagoncini e preparavo il treno, 3 o 5 chiatte per volte, e davo il segnale per farli salire in superficie. 

Mi pagavano a giornata a differenze delle compagnie all’abbattimento. Loro erano a cottimo. 

Anche il problema dell’areazione delle gallerie alla VAMPA era diverso rispetto ad altre miniere: dove stavo io non era poi tanto male perché ero vicino alla galleria che permetteva l’uscita dalla miniera. Ma all’abbattimento era veramente difficoltoso.

Una volta giunta in superficie la lignite veniva messa a seccare. Poi veniva caricata su grossi camion e portata ai cementifici Marchino. Mi ricordo molto bene il lavoro di vagliatura e la suddivisione della lignite per pezzature (il truccolo, il tritino…). La lignite che non usavano nei cementifici veniva venduta.

Gli incidenti accadevano in miniera. Mi ricordo di un episodio legato allo scoppio del gas. S’era prima della guerra e ci morirono 3/4 persone fra le quali il Bandinelli e l’Arnetoli. Il gas era pericoloso, ma i minatori avevano anche il vizio di fumare in galleria anche se proibito. Portavano sempre la lampada di sicurezza, quella che ti avvertiva se c’era il gas, ma a volte non bastava.

I turni di lavoro alla VAMPA erano 3 e quindi la miniera lavorava sempre.  5 compagnie, quindi 15 persone, poi c’erano gli altri addetti. Praticamente alla miniera all’epoca in cui c’ero io vi lavoravano una ventina di persone e poi tutti gli addetti ai lavori in esterno. Saremmo stati forse più di 40 persone. C’erano 2 impiegati, dove si andava per riscuotere il lavoro, il Direttore della miniera, il sorvegliante Modesto Billi, il mio babbo ed altri. Capitava a volte che il Direttore venisse in galleria ma era raro.

Sono stato alla VAMPA fino al 1958. Poi ho cambiato mestiere e ho lavorato per una ditta che movimentava terra in tutta Italia. Ho lavorato anche per costruire l’autostrada, verso Orvieto. Poi col tempo sono diventato sorvegliante fino alla pensione.

 

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