La musica dei minatori…

Se provassimo oggi a chiedere quale musica cantavano i minatori del Valdarno uscirebbe senz’altro fuori il ricordo di una musica che “parlava” dei minatori, li raccontava, simbolicamente li inseriva in contesti storici di lotte, battaglie sconfitte e vittorie. Anche questa è stata la storia delle miniere del Valdarno ma per quanto riguarda la musica dei minatori verrebbe da pensare a qualcosa che nel tempo si è modificata. Sono i minatori che hanno cantato loro stessi o sono
stati cantati da altri? E perché verrebbe ancora da chiedersi.

Fermiamoci un attimo a riflettere. Qualche pubblicazione c’è anche stata in passato, come quella del professor Giovanni Marruchi che pazientemente ha ricostruito la storia di tutte le filarmoniche e le bande del territorio cavrigliese, spulciando statuti, lettere e spartiti… Però del rapporto che c’era fra minatori e musica non si è mai parlato poi più di tanto e se lo si è fatto è stato per eventi, concerti, insomma tutto molto vicino ai giorni nostri. Così abbiamo provato a muoverci in questo mondo cercando di tessere un leggero filo che ci porta dalla banda dei minatori di Castelnuovo dei Sabbioni alla Casa del Vento, gruppo combat folk formatosi in provincia di Arezzo nel 1991. Nel mezzo c’è tanta storia!!

Era il 1884 quando si istituì la Società Filarmonica Drammatica della miniera di Castelnuovo, un ‘associazione fondata da Celso Capacci e di cui divenne maestro Giuseppe Fineschi. Una Filodrammatica legata a doppio filo con l’industria delle miniere e dei suoi esercenti ed ingegneri. Questo rapporto si esplicitò ancor più pochi decenni dopo. Nel 1908 la società si ristrutturò come Concerto dei Minatori, sotto il controllo della Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno. Erano i tempi nei quali i “proprietari” delle miniere e degli stabilimenti industriali estendevano il loro controllo anche alla vita privata dei loro dipendenti, un modo così per “tenersi” legati operai e minatori… Mentre la Mineraria con il Concerto dei Minatori poteva avere un ottimo strumento di controllo e di rappresentanza i minatori dal canto loro potevano usufruire di un buono strumento educativo. Non passò molto tempo perché il potere della Mineraria si traducesse nell’assegnare gratuitamente l’utilizzo di alcune stanze della musica.  Che tipo di musica potevano suonare? Sicuramente quella in voga presso anche altre filarmoniche ma il fatto che i minatori potessero avere una loro banda la dice lunga sulla diffusione della cultura musicale in luoghi dove oggi non ci si aspetterebbe di trovare. In realtà è molto probabile pensare che a fianco della musica bandistica in tutto il territorio cavrigliese esistesse una buona diffusione della musica popolare, quella fatta nelle case a veglia, quando si organizzavano feste a ballo. Studi e ricognizioni sono state fatte negli anni, prima da Diego Carpitella, poi da Dante Priore. Il mondo mezzadrile, dal quale provenivano i nostri contadini-minatori, secondo la definizione di Giorgio Sacchetti, era pieno di poeti a braccio e le storie della Pia e dello Gnicche si imparavano a memoria e si raccontavano la sera attorno al fuoco. Non è improbabile che questa cultura così radicata nelle famiglie fosse scivolata anche nel mondo delle miniere. Si sa che si improvvisava negli anni Venti del Novecento, che le lotte dei minatori furono raccontate in ottava rima negli anni Cinquanta… e probabilmente fisarmoniche, violini e altri strumenti accompagnavano e scandivano il ritmo di vita di queste famiglie che alternavano il lavoro nei campi a quello delle miniere.

Una miniera porta con sé profonde trasformazioni, soprattutto se si sviluppa in un territorio che non ne ha tradizione. Così pian piano alle ottave di protesta iniziano ad affiancarsi probabilmente i canti. Ne è un esempio il pezzo l’Amor della nostra miniera. Esso trova origine in un vecchio canto anarchico, Noi siam la canaglia pezzente, che nel tempo ha subito numerose trasformazioni. Si ha un primo riferimento nel 1921 e fu successivamente cantato durante la Resistenza nel Reggiano. I nostri minatori lo riprenderanno, modificando il testo ma tenendo la musica, durante le lotte e gli scioperi degli anni Cinquanta del Novecento. E come nella migliore delle tradizioni della musica popolare i minatori compiono qui la “contraffazio”.

Di miniere si era però iniziato a cantare nel 1927. Non erano quelle del Valdarno ma le grandi miniere d’oltreoceano immortalate nel testo Bixio Cherubini con il classico Miniera, cantato da Luciano Tajoli, Claudio Villa e molti altri. Un “classico” del genere che introdusse il tema della canzone a sfondo sociale. Del resto al duo si deve un altro pezzo come Ferriera, del 1929, fonte di ispirazione per una  contraffazio portata al successo da Caterina Bueno. Alla fine degli anni Cinquanta un nuovo sistema di escavazione era stato introdotto nelle miniere del Valdarno, la meccanizzazione dell’intero processo estrattivo portava all’estrazione del combustibile fossile con miniere a cielo aperto. Il decennio che aveva preceduto tutto questo era stato importante per i minatori, un periodo duro, fatto di battaglie, di licenziamenti e di occupazioni. Le  lotte per un posto di lavoro nelle miniere erano tornate ad essere cantate dai minatori e non solo. Nelle manifestazioni era facile sentir intonare Battan l’Otto,  o Il trenino dei minatori, come lo intitolò Caterina Bueno, conosciuto anche con il nome Le donne dei minatori. In effetti di questo canto ne esistono due versioni, quello raccolto nel Canto Popolare Aretino da Diego Carpietella e quello registrato da Caterina Bueno che differiscono oltre che nel titolo per alcuni versi. Si tratta della contraffazio di Ferriera, il tango del ‘29 che parlava di lavoro, acciaierie e altiforni.  Il “trenino” probabilmente Caterina lo registrò da i’Chionne che si ricorda di “questa signorina venuta da Firenze…co’ i registartore”. La canzone divenne conosciuta nell’ambiente della musica popolare e tutt’oggi viene cantata e ricordata. Erano anni nei quali la musica popolare incontrava le miniere, come Eugenio Bargagli che aspettava i minatori uscire dalle gallerie a Ribolla per vendere loro i fogli volanti, prima del tragico episodio del 1954 o dove i minatori di zolfo marchigiani in ottava rima combattevano dure battaglie per non veder chiudere le loro miniere.

I decenni però passavano e si dava nuova attenzione al mondo del lavoro e delle miniere. Nel 1969 uscì Una miniera/Il sole nascerà, interpreti erano i New Trolls. E’ l’inizio di un nuovo rapporto fra musica e miniere che in parte si era già inaugurato proprio con la Bueno. In Valdarno accadono altre cose. C’è un gruppo di giovani, impegnato nella politica e nella “resistenza” come molti della loro generazione che fanno musica. Così pian piano si scivola dai minatori che cantano se stessi alle giovani generazioni che cantano i minatori come simbolo di altro. A San Giovanni Valdarno Giampiero Bigazzi assieme a Simone Biondi (Piccione), Arlo Bigazzi e Luciano Morini (in una prima formazione con Antonio e Francesco Michi) danno vita al Canzoniere del Valdarno. Erano canzoni “più vicine alle canzoni sociali che all’epoca tutti cantavano – mi racconta Giampiero – il nostro era un progetto particolare quasi una specie di teatro canzone. Dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Settanta tutto si lega all’impegno e alle lotte politiche. Il Canzoniere era l’unico nella zona, non avevamo gruppi antagonisti nel territorio che facevano questo repertorio. In questo periodo di diffusione del canto politico e sociale c’erano come due livelli: i cantautori che facevano gli spettacoli (Caterina, Masi, Della Mea, Pietrangeli) per cui c’era l’aspetto dello spettacolo ma anche la condivisione e la socializzazione alla casa del popolo o nei ritrovi come il 1° maggio… Si cantava portandosi dietro una chitarra… Tutto si trasformava anche  in momenti di condivisione e di socialità. Era interessante perché in quel periodo i due aspetti in qualche modo convivevano” Così un giorno, adattando un po’ i testi di Stefano Beccastrini, il gruppo del Canzoniere uscì con un lavoro pensato, registrato e prodotto nel 1978, Terra Innamorata. Era un disco che raccontava la storia di Cavriglia e delle sue miniere dal 1921 al 1945 e dove c’era un pezzo in particolare dedicato a questo mondo: il canto dei minatori.  Come si potrebbe definire oggi? “Canzone d’autore, neo-folk, forse world music. Chissà. Un’opera comunque giovanile, con qualche ingenuità, che però era rimasta nel cuore di tanti appassionati”.

Il Canzoniere ma soprattutto la musica dei quegli anni segnò un percorso seguito successivamente da altre generazioni che aggiunsero simboli a simboli, storie a storie. Così siamo arriva a tempi un po’ più vicini. Nel 2004 esce Sessant’anni di Resistenza,  un album della Casa del Vento. Al suo interno Il Minatore, una storia di lignite, lavoro e resistenza che ancora una volta torna nella musica. Ormai il minatore, anche quello del Valdarno, è divenuto un simbolo del quale si cantano “le gesta”, si racconta con una ballata malinconica del genere combat folk, un fenomeno musicale italiano che sviluppandosi da filoni della musica degli anni Sessanta  e Settanta si è affermato dagli anni Novanta proponendo anche rivisitazioni in chiave “rock-folk” dei brani della cultura popolare italiana. Nel 2009 un altro pezzo, sempre dedicato alle miniere del Valdarno e sempre a firma Casa del Vento. Dio degli inferi, voci dal sottosuolo, dal profondo delle miniere del Valdarno, uscito in Articolo Uno. Le miniere, al fatica, il pericolo, il budello nero che tutto inghiotte diviene canto condiviso, storia ormai da raccontare ad altri…  

(P. Bertoncini)

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