Una storia davvero singolare quella che ci racconta Emilio Polverini. L’articolo uscì 23 anni fa in un libriccino pubblicato dalla Parrocchia di San Donato a Castelnuovo dei Sabbioni, o meglio, come precisa Emilio Polverini “dal parroco pro-tempore don Romano Macucci il quale, troppo ottimista riguardo alla diffusione del libro, non lesinò sul numero delle copie ordinate alla tipografia”. Oggi una parte di quei volumi è conservata presso il centro di documentazione del museo. Quando la malaria arrivò a Castelnuovo….
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A Castelnuovo dei Sabbioni quasi tutti conoscono, almeno a grandi linee, le alterne vicende e i mutamenti provocati dalle miniere di lignite, fin dalla loro origine, nei paesi circostanti: momenti di grande sviluppo e profonde crisi, relativo benessere e nera miseria, immigrazioni ed emigrazioni di un gran numero di operai e delle rispettive famiglie, periodi di tranquillità e periodi di gravi disordini e agitazioni; però, soprattutto, sono evidenti ad ognuno i grandi sconvolgimenti inferti al territorio. Ma che le miniere avessero addirittura provocato la malaria, nessuno oggi lo ricorda più; neanche chi ha conversato moltissime volte con vecchi testimoni delle passate vicissitudini minerarie, ha mai sentito parlare di epidemie di malaria in questa zona. Ci voleva il dottor Guido Casini per informarci di questa cosa: egli, nonostante i comprensibili acciacchi dovuti alla sua veneranda età, ha sempre una memoria vivissima e si è ricordato di avere ricevuto, alcuni anni fa, da un amico specialista di queste cose, un Estratto dagli “Atti della Società per gli Studi della Malaria” nel quale si parla dettagliatamente di questo episodio. Questo estratto, che contiene i risultati di una ricerca effettuata dal dottor Pio Pasquini nei primi anni del Novecento secolo, viene parzialmente riprodotto in calce a questo scritto.
Che la malaria non fosse una malattia molto comune in queste zone, lo dimostra anche il fatto che veniva chiamata “febbre maremmana”; l’uso di questo termine ci viene confermato da una curiosa filastrocca, segnalataci dall’amico professor Dante Priore che l’ha registrata, il 13 agosto 1978, dalla viva voce di Lorenzo Gori: “Chi dice mal di me-ne sia malidetto, / sia malidetto per-e una settimana: i’ lunedì li vienga i’ mal di petto/ i’ martedì la febbre maremmana;/ mercoledì li vienga i’ prete a letto,/ i’ giovedì sia messo nella bara, /i’ venerdì la sia fatta la fossa,/ i’ sabato sia bell’e soppellito.“
E, in effetti, nel nostro caso si trattava proprio di “febbre maremmana”: infatti i risultati della ricerca del dottor Pasquini confermano che: “… Il germe della malaria fu importato da minatori delle miniere maremmane di Montemassi, che vi immigrarono…”. Sempre dallo scritto del dottor Pasquini emerge un personaggio che fu molto popolare in quegli anni a Castelnuovo, sia per aver contribuito alla composizione di alcune vertenze fra operai e Società minerarie, sia per aver accettato l’incarico di Presidente della Cooperativa di Consumo fra i Minatori, oltre che, naturalmente, per la dedizione con cui praticava la propria professione: si tratta del dottor Alfredo Paradisi, nato a Piancastagnaio l’8 gennaio 1864 e morto a Castelnuovo dei Sabbioni il 5 giugno 1930. Nel momento in cui comparve la malaria, il dottor Paradisi era Ufficiale Sanitario e Medico Condotto, però in precedenza era stato “Medico delle miniere” e ancora nel 1903 era il medico di fiducia della “Società Operaia di Mutuo Soccorso fra i Minatori di Castelnuovo”: nella relazione, l’attenuazione dell’epidemia viene attribuita appunto “… alla cura regolare e all’applicazione di reti metalliche [alle finestre], fattavi per cura del dottor Paradisi….
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La malaria causata dalle escavazioni nella Miniera del Basi, presso Castelnuovo dei Sabbioni estratto da:
UFFICIO D’IGIENE DEL COMUNE DI FIRENZE SEZIONE DEL LABORATORIO BATTERIOLOGICO E MEDICO- MICROGRAFICO in: Atti della Società per gli Studi della Malaria, anno VII-1907, pp. 437-460 UFFICIO D’IGIENE DEL COMUNE DI FIRENZE SEZIONE DEL LABORATORIO BATTERIOLOGICO E MEDICO- MICROGRAFICO
Sull’anofelismo senza malaria (del suo significato precario e degli accorgimenti che ne derivano per la profilassi antimalarica) per il dottor PIO PASQUINI
[…] In questi ultimi due anni infatti ho potuto studiare, grazie alla cortesia del prof. Mercanti e del dott. Benedetti, la reinfezione di due regioni anofeliche senza malaria in tali condizioni. L’una è costituita dal territorio di Brozzi, presso Firenze; l’altra dal territorio del Basi, nel comune di Cavriglia, in provincia di Arezzo. Quanto si riferisce al territorio del Basi, nel comune di Cavriglia, è anche più tipico. Questa regione ad oltre 250 metri sul livello del mare e ad oltre 120 metri sul livello dell’Arno, a S. Giovanni Valdarno, appartiene ad una serie di colline che fanno parte del bacino carbonifero di Castelnuovo dei Sabbioni. È stata, fino all’epoca che ci riguarda, regione saluberrima e fuori da ogni influenza della Valle dell’Arno, in opposto versante.
Il centro di questa regione era costituito dall’ingresso di una miniera di lignite. Normale al lato Nord Est della miniera stessa, scorre un fiumiciattolo — il Borro dei Calvi — che nel maggio del 1891 ruppe l’argine sinistro, in seguito a piogge torrenziali, ed allagò la miniera. Così in questo piccolo imbuto si formò un laghetto di rilevante profondità e del diametro di circa 200 metri o poco più, che ha rive instabilissime, perché si vanno riducendo o estendendo, secondo che si passa dalla magra alla piena. Al Borro dei Calvi non furono ricostruiti gli argini, il che forse avrebbe permesso lo sgombro naturale delle acque, così che oggi ancora quel fosso è l’affluente e l’emissario del lago.
Nella parte più elevata intorno al lago, a Nord e a Nord Ovest, sorge una villa e un caseggiato fittamente abitato da minatori. A Sud ed in fondo alla vallatella sorgono tre casolari, il Ponte, Bonacci e Paci, egualmente abitati da poveri rivenditori e da minatori. Esclusa la villa, in questi quattro caseggiati l’affollamento è enorme, tanto che vi si annidano circa 150 persone che dispongono in genere di una cucina e di una camera per gruppo o famiglia. Le stanze del pianterreno si trovano nelle peggiori condizioni dal lato igienico: sono umide, buie e poco pulite. La vita di quegli abitanti, minatori di lignite, è faticosa nei giorni di lavoro e spensierata e forse viziosa alla festa.
Tre o quattro anni dopo la formazione del lago, apparve un numero grandissimo di zanzare, fra le quali il genere anopheles. Ed è giusto pensare che anche prima vi fossero anopheles, perché si riscontrano in tutte le colline circostanti, come a Meleto. Subito dopo comparve la malaria, che fece dapprima numerose vittime, e che si è andata poi attenuando in seguito alla cura regolare e all’applicazione di reti metalliche, fattavi per cura del dottor Paradisi, ufficiale sanitario. Il germe della malaria fu importato da minatori delle miniere maremmane di Montemassi, che vi immigrarono. Malarici però vi capitarono anche prima senza recare effetti dannosi. È notevole un altro fatto. Nella villa del Basi, quando là la malaria era più grave, prese alloggio il signor Haupt, ingegnere e comproprietario di quelle miniere. Nella famiglia di lui non si ebbero mai casi di malaria, per quanto avesse bambini che in ogni tempo sono stati là i preferibilmente colpiti. Ritiratosi lui in un villino proprio, la villa del Basi si affollò di operai e si ridusse in peggiori condizioni igieniche; allora vi comparvero i primi casi di malaria. Ogni commento guasterebbe.
Nei primi anni di infezione in questa regione, su 150 persone circa, si ebbero ogni anno una trentina di casi di malaria in maggioranza nei bambini. Ora, ogni anno, vi si contano appena 5 o 6 casi di malaria. Il lago infatti si è ristretto e regolarizzato, e gli anopheles sono tornati a diminuire. Questo laghetto sarà presto prosciugato perché si sta lavorando ad aprire una via alle sue acque, per le gallerie delle miniere (nuove), presso la casa Haupt. Anche qua la forma predominante, se non unica, di malaria è la terzana lieve. Sono appunto i terzanari, specialmente nelle regioni che si reinfettano per il transito dei malarici, che hanno la maggiore possibilità di diffondere il loro malefico seme; che infatti gli estivo autunnali, febbricitanti di ogni giorno e di ogni ora, non sono nelle condizioni di trasferirsi di regione in regione e si curano più attivamente e proporzionalmente all’imponenza dell’espressione febbrile; mentre d’altro canto i quartanari difettano anche nelle maremme, o vi abbondano nelle stagioni (autunno) nelle quali l’immigrazione e l’emigrazione maremmana è sospesa o quasi.
Per la regione del Basi, poiché è giocoforza fare astrazione da ogni influenza della valle dell’Arno, pur tuttavia salubre, è evidente che si debba ritenere che il paludismo, sorto ad aumentare l’anofelismo, in presenza dei fattori etiologici della malaria, determinò, fuori di ogni dubbio, l’epidemia, che poi vi si acclimatò. Per l’esempio della Villa del Basi, è evidente altresì che il solo paludismo, non sarebbe stato sufficiente a determinare l’infezione della regione, al che doverono concorrere i fattori epidemiologici dell’affollamento, dell’affaticamento, della miseria e in genere del disordine igienico. […]. Pio Pasquini.
(E. Polverini)
Per l’esattezza devo precisare che il volumetto Guido Casini / Una vita contro la malaria non fu pubblicato dal Comune di Cavriglia, bensì (come conferma la Dedica a p. 3) dalla Parrocchia di San Donato a Castelnuovo dei Sabbioni, o meglio, dal parroco pro-tempore don Romano Macucci il quale, troppo ottimista riguardo alla diffusione del libro, non lesinò sul numero delle copie ordinate alla tipografia. Quindi ne consegnò buona parte al Comune di Cavriglia che (penso) gli abbia dato un adeguato contributo. Se vi può interessare, ho una foto, scattata il 17.04.1997 durante la presentazione del libro, avvenuta nella camera da letto del dottor Casini il quale, da qualche tempo, sebbene lucidissimo di mente, non era più in grado di camminare.
Grazie Emilio Polverini per la precisazione. Correggiamo subito l’informazione contenuta nell’articolo.