Da Caoria alle miniere di Castelnuovo. La storia di Girolamo Loss (1915-1918)

Questa storia parla di un viaggio particolare, quello che Girolamo Loss fu costretto a compiere durante la Prima Guerra Mondiale. Un viaggio che lo portò da Caoria a Montevarchi e poi a lavorare alle miniere di lignite di Castelnuovo dei Sabbioni.

L’intervista completa, che il museo MINE possiede in copia, ci è stata regalata da Danilo Taufer. La cassetta originale con la voce di Girolamo Loss si trova presso il Museo della Grande Guerra a Caoria. L’intervista fu trascritta nel 1998 da Gino Taufer.


Nel 1914 vi fu un assassinio. A Sarajevo fu ucciso il principe ereditario della casa d’Asburgo. In seguito all’attentato dopo un mese, e precisamente gli ultimi di luglio – primi di agosto, vi è stata la mobilitazione generale di tutto l’esercito austriaco.

Si era al culmine della stagione del fieno qui nei nostri paesi periferici di montagna. Io all’epoca ero al maso di Valzanca che era il mio piccolo patrimonio agricolo. Gli abitanti di Valzanca vivevano serenamente senza sapere né di politica né della improvvisa e terribile chiamata alle armi. In seguito alla chiamata la gente si disperava: i mariti dovevano lasciare immediatamente le mogli e i figli i loro genitori, senza discussioni e partire subito per ignota destinazione. Erano delle giornate terribili anche per coloro che non venivano chiamati alle armi. Via via che passavano i primi eventi bellici con alterne vicende, da là a qualche mese inziavamo già ad avere notizia di qualche paesano caduto o ferito sul fronte.

Proprio qui a Caoria era territorio austriaco; non c’erano vie di mezzo: Caoria era sul fronte. Il vero confine distava pochi chilometri dal paese che era comunque percorso da truppe che si spostavano su baluardi più sicuri in montagna, presso la prima linea.

Fu un triste impatto per la gente trovarsi improvvisamente in tali condizioni. In certe famiglie successe che anche due figli, magari giovanissimi, venissero chiamati al fronte. Iniziavano ad esserci i primi caduti. Poi dal momento che la prima linea si trovava poco distante da Caoria si verificò una situazione di isolamento; non era più percorribile il sistema viabile ed eravamo isolati rispetto al resto del mondo. Le merci non arrivavano più né da parte dell’Austria né da parte dell’Italia.

La mattina del 20 dicembre 1915 era freddo, rigido, e senza neve; era sereno e ben presto prima dell’alba si sentì bussare alla porta di casa. Erano soldati. Ci ordinarono di portare tutte le bestie vicino alla chiesa, poi bisognava partire immediatamente. Verso mezzogiorno qui a Caoria erano rimasti soltanto alcui gatti perchè la popolazione era stata tutta sfollata. E così noi dovemmo avviarci a piedi. Faceva freddo e ci calava la goccia al naso. Ci avviammo alla volta di Canale. Le automobili erano poco diffuse. Anch’io sono salilto su una di queste automobili che ci erano venute a prendere la quale si avviò verso lo Schener per destinazione ignota. Arrivammo a Primolano, ma all’epoca non sapevamo che eravamo a Primolano. Scendemmo dalle macchine e fummo scortati alla stazione. Lì ci fecero salire sulle vetture di un treno. Le carrozze erano belle, luminose e confortevoli. Rimasi comunque confuso da questa novità. Così arrivammo a Canale. Chi non aveva parenti ea costretto ad adattarsi. La mattina dopo, tra le nove e le dieci, abbiamo visto arrivare una lunga fila di carri trainati da muli. Sulla piazza di Canale fecero salire su ogni carro una famiglia e partimmo verso Passo Gobbera. Verso l’imbrunire arrivammo a Imer, presso l’edificio delle scuole elementari. Fu una notte molto fredda anche perchè non c’erano le coperte. La mattina dopo ci fecero salire su altri carri, destinazione ignota. Nuovamente in treno arrivammo a Bassano del Grappa e da lì iniziammo a risollevarci anche perchè ci diedero da mangiare.

Io ero un ragazzo abbastanza grande perchè all’epoca avevo 14 anni. Arrivammo a Castelfranco, poi prendemmo la direzione di Thiene e Schio. A Thiene arrivammo di sera. Ci fecero scendere e ci inquadrarono quindi alla volta di un luogo di smistamento della truppa. Fu un’altra notte triste, senza coperte e all’aria aperta. Quando fu giorno ci rendemmo conto di dove eravamo. A sud di Thiene si estende la pianura, pianura che noi, abituati in montagna, non avevamo mai visto e ci sembrava molto bella. Col levare del sole ci rendemmo conto che il clima era più mite che a Caoria. Da Thiene a Isola Vicentina. Lì eravamo una massa enorme di profughi, c’erano praticamente tutti gli abitanti di Caoria. Io ricordo che fui alloggiato a Palazzo Munari. Però tutte le sistemazioni erano all’alpina, cioè con i giacigli di paglia.

La situazione non era proprio rosea ma almeno non si soffriva la fame. Era la guerra e anche noi dovevamo adattarci all’andamento delle cose. Questa situazione è andata avanti per due mesi poi arrivò l’ordine: circa metà degli abitanti di Caoria dovevano partire. In un paio di ore portarono via tutti quelli destinati alla partenza, fino alla stazione dove salivano su un treno; destinazione ignota. Poi dopo un giorno di viaggio quelli partiti ci scrissero che erano arrivati in Liguria.

Quindi a Thiene rimanemmo circa la metà dei profughi ma dopo un’altra settimana arrivò anche per noi l’ordine di partire. Arrivammo a Vicenza che era sera e abbiamo viaggiato tutta la notte fino a Firenze. Lì fummo alloggiati in un locale vicino alla stazione. Siamo rimasti per una notte e poi verso le 12 del giorno successivo siamo arrivati a Montevarchi. Era un giorno abbastanza bello e poi iniziò a piovigginare. Eravamo agli ultimi di febbraio e in quel luogo non faceva più molto freddo. Scendemmo dal treno e uscimmo dalla stazione. Ci trovammo davanti delle belle carrozze del tram. Un poco alla volta salimmo sul quel tram. L’edificio in cui fummo alloggiati era nuovo di zecca, un vero gioiello. C’erano già le brande pronte e anche le lenzuola. All’arrivo fummo ricevuti da onorevoli e autorità del luogo. Il giorno dopo cominciammo però ad essere affamati. Noi non avevamo nulla e per fortuna gli abitanti del luogo erano brava gente. Alla mia famiglia fu consegnata la chiave di un appartamento e pian piano ci siamo abientati.

Siamo rimasti in questa situazione da febbraio fino ad aprile quando pian piano fummo introdotti nella lavorazione delle miniere di Castelnuovo dei Sabbioni. Lì c’era l’estrazione della lignite che era una materia prima preziosa in tempo di guerra. L’appartamento nel quale eravamo alloggiati era distante circa un paio di chilometri dal bacino minerario, in un luogo chiamato San Pancrazio Aivieri. Dopo sette, otto giorni e dopo che ci eravamo ambientati hanno formato le squadre che dovevano lavorare in miniera, squadre formate da profughi che venivano impiegati a caricare di materiale i vagoncini posti sul piazzale. Venivamo anche pagati, un adulto 2.30 £ al giorno. Chi lavorava in galleria prendeva 4-5£. In galleria il lavoro era più pesante che nei piazzali. I lavoratori meno abili e i ragazzi come me prendevano 1,8-1,9 £ lavorando 10 ore al giorno. Io dopo qualche mese che lavoravo mi sono fatto fare un paio di scarpe.

Col passare del tempo abbiamo iniziato a lavorare come gli altri operai e a conoscere l’ambiente e la gente del posto. Fuori dall’ufficio paga si radunavano gli ambulanti che vendevano i loro articoli. Da molto tempo avevo una gran voglia di comprarmi dei pomodori. Io non sapevo come era fatto un pomodoro e avevo immaginato che derivasse dalla famiglia dei pomi (mele) e che l’oro stesse a significare che quel tipo di mela fosse più buona delle normali. Quel giorno di paga decisi di comprarmi 20 centesimo di pomodori. Mi incamminai verso il mio posto di lavoro e non resistetti alla tentazione di assaggiarne uno, morderlo e masticarlo. La mia impazienza si trasformò in meraviglia, delusione e rabbia: lo giudicai una porcheria e con il resto dei pomodori feci a tiro al bersaglio nelle ruote dei vagoni.

Abbiamo iniziato a lavorare in miniera nel mese di maggio del 1916 e siamo rimasti lì fino a novembre del 1918. Durante il primo anno di lavoro era abbastanza regolare e c’erano sempre gli stessi operai; andando avanti molti vennero chiamati dall’esercito a sostituire i caduti e feriti e i progionieri e i profughi iniziarono a sostituire i richiamati andando a ricoprire anche incarichi ambiti come il fuochista, il frenatore, il deviatore.

Durante il periodo in cui abbiamo lavorato presso le miniere successero anche parecchie disgrazie. Nella miniera lavoravano oltre mille operai fra gli addetti negli scavi e quelli che lavoravano in supeficie. In questa situazione siamo andati avanti fino all’armistizio. L’ultimo anno di guerra c’era l’esigenza di aumentare la produzione. Oltre a noi e agli operai toscani lavoravano lì anche prigiornieri di guerra di nazionalità austriaca e austroungarica. Dopo qualche mese dall’armistizio inizammo a pensare seriamente il ritorno a Caoria. Gli ultimi giorni di marzo intraprendemmo il viaggio di ritorno. Dovemmo iniziare a ricostruire tutto; il paese era ancora svuotato dai suoi abitanti.

Girolamo Loss

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