Bette, cavallette e spanditori: mezzi e lavoro nelle miniere a cielo aperto di Cavriglia.

Alla fine degli anni Cinquanta, con il passaggio dalla coltivazione della lignite a cielo aperto,  iniziarono ad arrivare nei piazzali delle miniere di Cavriglia  dei grossi escavatori che avrebbero per sempre modificato il lavoro degli operai minerari: i macchinari avrebbero sostituito il lavoro manuale in ogni fase di scavo.

I primi ad arrivare furono gli scrapers, per iniziare le operazioni di rimozione dell’argilla (lo sterile) che ricopriva la lignite e dare così il via alla coltivazione. Subito dopo giunsero gli escavatori con ruota a tazze delle tedesca Orenstein & Koppel  1107 e 1108. In un primo momento non era previsto l’arrivo delle Bette, i grandi macchinari soprannominati così dai minatori, macchine enormi con catene a tazze in grado di asportate tonnellate di terra. In Valdarno si pensava di riuscire a coltivare il combustibile fossile con il solo utilizzo degli escavatori a ruota e tazze, aiutati dai caterpillar che si sarebbero occupati di togliere lo sterile e di mantenere il fronte di scavo orizzontale e in piano, per agevolare il successivo lavoro dei cingolati degli escavatori che avrebbero tolto la lignite.

Ovviamente le macchine non arrivarono intere, ma come grandi pezzi di giocattoli fatti però di ferro, da assemblare nei piazzali delle miniere. Arrivarono dalla Germania via ferrovia che all’epoca non terminava alla Centrale elettrica ma arrivava direttamente in miniera. Dopo aver assemblato tutti i pezzi e montata la macchina… si pensava alla messa in attività. Gli ingegneri che supervisionavano i lavori di assemblaggio erano quasi tutti tedeschi, tra cui figurava l’ingegner Zimmermann;  la manodopera invece era composta da operai del posto.

L’escavatore 1107 e il suo gemello 1108 avevano una ruota col diametro di 4 metri con 8 tazze che avevano una capacità di 100 litri l’una. Pesavano circa 120 tonnellate e non avevano una grossa velocità di movimento, intorno ai 6 metri al minuto; ma in un minuto potevano essere riempite mediamente 65 tazze e quindi scavati 6500 litri di lignite. Gli escavatori erano alimentati dalla corrente grazie ad un cavo a 6 KW. Presto però ci si accorse che lo sterile da togliere, essendo per la maggior parte argilla, risultava essere molto compatto e viscoso e che i Caterpillar non erano d’aiuto. Così gli ingegneri minerari pensarono di ricorrere ad altri due grossi macchinari di un vistoso colore giallo, costruiti dalla Krupp. Si trattava di escavatori a catena e tazze, Betta 1 e Betta 2, nomignolo attribuito probabilmente in onore della nonna dell’ingegnere fiorentino presidente della Società Mineraria del Valdarno, anche se qualcun altro dice fosse in onore della figlia… Le due macchine pesavano 1500 tonnellate,  distribuite su tre coppie di cingoli alimentati a corrente continua. La catena era composta da 44 tazze distanziate fra di loro di 2.8 metri e dalla capacità singola di 1000 litri.  In un minuto venivano scaricate 24 tazze. Anche questi macchinari erano un po’ delle “tartarughe” quando si dovevano muovere arrivando ad una velocità massima di 6 metri al minuto.  Il braccio con le tazze poteva raggiungere l’altezza massima di scavo di 25 metri e verso il basso di 28. Era un braccio snodato e poteva essere utilizzato tutto disteso per lavorare in piano, oppure, stendendo la parte più vicina alla cabina, inclinare quella più lontana quando il fronte di scavo non era piano o per l’avanzamento del fronte in avanti.

La Betta prevedeva sempre la guida a terra, un minatore che dal suolo aiutava nelle manovre gli addetti alla prima guida che stavano nella cabina di comando. Per gli escavatori a ruota invece potevano bastare gli operai in cabina perché il braccio di queste macchine era breve e riuscivano meglio a controllare il fronte di scavo.  Anche gli escavatoristi però potevano ricorrere alla guida a terra quando la lignite da scavare era difficile da raggiungere o le manovre da effettuare più complesse. Le cabine di comando del 1107 e del 1108  erano mobili, se il fronte di scavo era verso il basso si alzavano per non arrecare danni agli operai. Le Bette invece non avevano le cabine mobili, il braccio lungo permetteva sempre di lavorare in sicurezza.  Fra le difficoltà riscontrate nell’utilizzo di queste macchine c’era sicuramente la preparazione del piano di lavoro: le Bette dovevano lavorare sempre in piano con un minimo scarto di inclinazione in avanti e indietro del 6-8 % , mentre gli escavatori, grazie ai martinetti e a un punto fisso che manteneva in piano il macchinario, potevano lavorare anche con i cingoli inclinati fino ad un massimo del 18%. Le tazze della Betta rilasciavano il materiale scavato direttamente nella tramoggia posta sopra un nastro trasportatore; quelle  del 1107 e del 1108 rilasciavano la lignite su di un disco che girando portava il combustibile su di un altro nastro che continuava la sua corsa fino alla Centrale. Per convogliare lo sterile scavato lontano dalla cava, vennero acquistati anche due spanditori Orenstein & Koppel 170 e 171.

Gli spanditori furono collocati nelle discariche minerarie: inizialmente a Valle al Pero e Tegolaia, poi in un secondo momento in altre località (Vincesimo e Morbuio); infine le macchine vennero utilizzate per riempire con terra le voragini create nei bacini di scavo della miniera. Lo sterile arrivava agli spanditori tramite i nastri trasportatore che correvano lungo tutto il fondovalle dell’area mineraria.

L’arrivo delle macchine modificò anche l’organizzazione del lavoro.  Si iniziò a lavorare in miniera su tre turni di otto ore continui, senza pause tra un turno e l’altro. In ogni turno i gruppi più numerosi erano quelli che seguivano i lavori dello sterile e quelli della lignite. Il gruppo dello sterile aveva in dotazione le Bette,  gli spanditori, e alcune ruspe che livellavano i piani di scavo coordinati dall’ ing. Lucidi. L’altro gruppo, per la coltivazione delle ligniti, aveva in dotazione gli escavatori 1107 e 1108 e anche in questo gruppo vi erano dei ruspisti addetti ai lavori di fino, seguiti dall’ing. Carlino. Sulle macchine lavoravano la prima guida e la guida a terra. Per un periodo venne utilizzata anche la seconda guida per gli escavatori, ovvero uno specifico operaio posizionato sulla cabina in alto che aveva una visione d’insieme più ampia rispetto alla prima guida. Vi erano poi altre figure che lavoravano attorno alle macchine: i “carrellisti” che posizionavano il carrello, una tramoggia posta sopra il nastro dove scaricavano le  macchine, e i “cavallettisti” addetti al macchinario chiamato Cavalletta che serviva per unire il braccio di scarico degli escavatori e delle Bette al nastro trasportatore quando era troppo distante da quest’ultimo e per evitare superflui spostamenti dei nastri stessi. Poi c’erano i “vulcanizzatori” addetti al taglio, ai giunti e alla sistemazione del nastro trasportatore, gli elettricisti che dovevano sistemare i cavi di alimentazione degli escavatori, delle stazioni dei nastri trasportatori e l’alimentazione, i meccanici per i lavori di ripristino dei macchinari, per la sistemazione dei denti o dei cingoli; la “squadra spostamenti” che si occupava di spostare i nastri trasportatori vicino alle macchine in attività. Infine gli addetti alle stazioni dei nastri che controllavano l’andamento corretto del materiale sui nastri stessi.  Per ogni turno lavoravano circa 30-40 persone. Una volta finito il turno gli addetti alle macchine dovevano ripulire le tazze con zappe e raschietti, soprattutto quando era brutto tempo e l’argilla diventava una melma appiccicosa.

Nell’area di scavo di Poggio Avane all’inizio degli anni ’70 entrò in funzione altro escavatore dell’Orenstein & Koppel, il 1217 che venne utilizzato soprattutto per lo sterile.  Anch’esso  avevo una ruota composta da 10 tazze con una capacità di 550 litri l’una, in un minuto riusciva a scaricare mediamente 61 tazze . Il diametro della ruota era di 7.50 m e raggiungeva i 13.5 metri di altezza di scavo e poteva scendere 2.7 m rispetto al piano di appoggio dei cingoli.  Con la zavorra questo escavatore raggiungeva le 646 tonnellate. Nemmeno questo modello spiccava per velocità e difficilmente raggiungeva i 6 metri al minuto.

In miniera le macchine cambiarono velocemente così arrivarono altri escavatori a ruota. Venivano dall’Umbria, dalla vicina miniera di lignite di Pietrafitta: erano il 1162 1163 dell’ Orenstein & Koppel. Vennero chiamati dagli operai con nomignolo un po’ dispregiativo bachini, in quanto più piccoli e poco resistenti e non molto adatti al lavoro nelle miniere di Cavriglia. Il loro utilizzo fu il più breve della storia delle macchine della miniera e agli inizi degli anni ’80  vennero smontati e demoliti. Con lo spostamento del fronte di scavo dal bacino di Castelnuovo all’area degli Allori-San Donato- Gaville vennero acquistati degli escavatori idraulici più piccoli e dotati di tecnologie più moderne, il 1415 e 1416, sempre dell’Orenstein & Koppel e il C 700 della Krupp. Essi furono montati e messi in attività dall’azienda Bertolotti di Incisa Valdarno.

Le miniere stavano lentamente arrivando alla chiusura e così pochi anni dopo nell’area di San Donato, in località Piombino, vennero smontate pezzo per pezzo le Bette….

(Giulia Peri)

3 thoughts on “Bette, cavallette e spanditori: mezzi e lavoro nelle miniere a cielo aperto di Cavriglia.”

  1. “Il diametro della ruota era di 7.50 m e raggiungeva i 135 metri di altezza di scavo ”
    135 metri di altezza ? forse c’è un errore !! 🙂

    1. Buongiorno, forse c’è scappata una virgola? Può darci indicazioni più precise? Grazie

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