Trito, tritino e pula …

Un paesaggio si legge dai suoi segni che ci raccontano molte storie di ciò che i luoghi furono. Questa è la storia di uno strano edificio oggi circondato da alberi e foglie. La struttura ha un tetto in metallo ed è costruita in mattoni. Si capisce che è qualcosa di vecchio … Ma chi sa veramente cosa sia questa strana struttura posta in una zona abbastanza vicina a case, vecchie e nuove, in prossimità della strada? E’ al Ponte alle Forche ma l’edificio si nota solo se si prende la strada provinciale per Cavriglia in direzione della frazione di Vacchereccia.

La fabbrica di bricchette del Ponte alle Forche è nota a chi conosce un po’ della storia e dell’archeologia industriale del Valdarno, ogni tanto negli anni comparivano sui giornali locali notizie legate a nuovi progetti di recupero e di trasformazione. La maggior parte delle persone più giovani credo non sappiano cosa sia un bricchettificio e soprattutto cosa ci faccia al Ponte alle Forche.  

Così abbiamo rispolverato un po’ di documenti d’archivio del museo per raccontarvi la storia. Un impianto di bricchette produce mattonelle di lignite, ovvero utilizzano trito, tritino e pula che attraverso una lavorazione particolare permettono che le polveri siano pressate in mattonelle da poter vendere come forma di combustibile per stufe e simili.

La zona nella quale si trova l’edificio inizia a svilupparsi alla fine del 1800; è a due passi dalla Ferriera di San Giovanni Valdarno. La lignite, scavata nei bacini del Comune di Cavriglia, veniva trasportata in vario modo proprio presso la stazione ferroviaria di San Giovanni e una buona parte indirizzata agli altiforni della Ferriera. A mano a mano che si procedeva nei lavori ci si era resi conto che materiale di scarto si accumulava frequentemente nei piazzali delle miniere. In un primo momento si cercò di ovviare a questo problema costruendo un impianto di bricchettazione nei pressi di Castelnuovo dei Sabbioni. Erano i primi anni del XX secolo quando si iniziarono a produrre mattonelle di lignite. Tuttavia il problema continuava a persistere e fu così che nel 1907 si pensò anche alla costruzione della centrale elettrica di Castelnuovo. In questi anni, fra il 1906 e 1908 la Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno pensò di costruire un’altra fabbrica di bricchette, a due passi da San Giovanni. Nacque così il nostro edificio. Esso era collegato alla stazione ferroviaria e la movimentazione dei vagoni avveniva con trazione animale. Si dice che anche la lignite della miniera dei Calvi arrivasse all’impianto attraverso la rete ferroviaria. L’edificio fu descritto piuttosto bene da Luciano Mongelli nella sua tesi di laurea: “composto da 5 corpi di fabbrica di dimensioni diverse. Il corpo caldaia ad ovest, quello centrale, il corpo deposito per lo stoccaggio della lignite, a nord, il corpo macchina e infine quello per il deposito del materiale lavorato. Tutto il sistema era mosso da forza vapore che veniva prodotta nella zona delle caldaie. I carrelli di lignite arrivavano dalle miniere fino ai piazzali dell’edificio. Qui una parte veniva trasportata ai piani inferiori delle caldaie, le pezzature migliori venivano utilizzate per la fabbricazione delle bricchette. Attraverso una rampa i carrelli con il minerale venivano fatti salire fino al livello dell’ultimo piano e poi attraverso un vaglio di discesa il materiale scendeva raffinandosi fino ad un punto poi veniva portato verso i cilindri di essiccazione. La polvere che si otteneva finiva poi nel locale dove veniva pressata e dove si realizzavano le mattonelle”. A differenza del gemello di Castelnuovo questo impianto lavorò sempre meno e fu ben presto chiuso.

Si pensò ad un suo nuovo utilizzo dopo la seconda guerra mondiale. La zona di Ponte alle Forche in quel periodo era stata presa in esame per lo studio di un progetto che prevedeva la costruzione e l’esercizio di una centrale termoelettrica che si sarebbe posta fra il torrente San Cipriano, il torrente Vacchereccia e la linea ferroviaria Firenze – Arezzo. Questo non era l’unico studio poiché successivamente si pensò di spostare tutto l’impianto verso l’Arno in prossimità dell’attuale strada regionale e della zona di Sant’Andrea a San Giovanni Valdarno, comunque sempre in prossimità dei due borri. Comunque la centrale avrebbe utilizzato l’acqua prelevata dall’Arno rigettandola poi nel torrente Vacchereccia;  l’energia sarebbe stata prodotta con la lignite giunta attraverso delle teleferiche dai bacini di scavo, 600 tonnellate di lignite ogni 24 ore … La storia andò diversamente e la nuova centrale sorse a Santa Barbara ai margini del villaggio minatori.

Il bricchettificio di Ponte alle Forche, se il progetto fosse andato in porto, avrebbe rivestito un ruolo strategico. La lignite prodotta sarebbe stata convogliata proprio a Ponte alle Forche attraverso il collegamento di alcune teleferiche. La prima sarebbe stata costruita fra Castelnuovo dei Sabbioni e la zona di estrazione, lunga 1175 m, la seconda avrebbe collegato Santa Barbara con Ponte alle Forche, 3575 m e con una potenzialità di trasporto di 3600 tonnellate di lignite in 20 ore. Infine un terzo tronco, dal Ponte alle Forche alla centrale elettrica per una lunghezza di 975 m.

Sono anni questi del dopoguerra, un momento storico nel quale si sta ripensando tutto il sistema di estrazione della lignite. Già dal 1943 la Società Mineraria si era preoccupata di analizzare costi e profitti per una gestione a cielo aperto delle miniere di lignite … Così anche per la messa in funzione del bricchettificio si fecero delle ipotesi. Continuare con l’utilizzo della ferrovia non avrebbe garantito una produttività che si incrementava con l’utilizzo delle teleferiche, facendo anche risparmiare sul progetto di esecuzione e sui lavori da realizzare. Rimanevano però alcuni problemi legati alla lavorazione della lignite e alla produzione delle ceneri dal forno Kramer. Calcoli precisi su consumi giornalieri di lignite, sui costi di impiego della manodopera e sulla quantità di cenere prodotta … C’era ancora alcuni problemi da risolvere: dove stivarla? Come trasportarla? Il Bricchettificio si trovava ai piedi di una collinetta dov’è ancora oggi. La prima ipotesi, utilizzata molto in passato nelle miniere, prevedeva la realizzazione di un piano inclinato nel quale i carrelli sarebbero stati mossi da funi con un argano a due tamburi o a trazione continua. Ciò però rendeva necessario anche la costruzione di una linea elettrica. Troppo complicato. Allora si pensò di riempire due valli poco distanti dalla zona. Anche in questo caso i calcoli furono precisi e ci si accorse che per riempire la prima valle raggiungendo un’altezza di 15 metri ci sarebbero voluti solo due anni mentre per la seconda, più ampia, si sarebbe potuto impiegare 20 anni. Entrambe, poste ad un’altezza diversa dall’impianto, sarebbero comunque state collegate con una teleferica, il mezzo di trasporto più semplice.

Alla fine non se ne fece di niente. La centrale sorse da un’altra parte e i segni sul territorio da leggere sarebbero stati molti altri, spostati nelle zone dei bacini di scavo della lignite e nelle aree limitrofe.

(P. Bertoncini)

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